
negli ultimi mesi abbiamo sentito un silenzio assordante. dei politici. di noi cittadini. della chiesa.
nei prossimi mesi, forse, vedremo ancora di peggio.
e a me mi manca il fiato per raccontarlo
Riflessioni poco serie per un gruppo di amici serissimo
Newspapers are in the wrong businesses. They should no longer be in manufacturing and distribution, which have become cost-heavy yokes. And they should no longer try to be in the technology business - because they're bad at it. [...] If any paper, station or site could pluck software from the cloud and freely use and adapt it to perform essential functions then it could concentrate its resources on what matters - journalism.
Nella terra di nessuno
(Marco Revelli)«Ma col passare degli anni, non senza crescente stupore, mi sono accorto di soffrire di un'afflizione rimossa e sgradevole, un male che si dichiara in queste pagine, sia pure velatamente, a partire da una certa data: l'incapacità, o l'impossibilità, di sentirmi un cittadino del mio paese». Sono le parole con cui Cesare Garboli apriva la sua raccolta di Ricordi tristi e civili, nel gennaio del 2001, come ha ricordato, due giorni or sono, sulla piazza di Empoli, Adriano Prosperi in uno splendido ricordo dell'amico troppo presto scomparso.
Esprimono un sentimento privato. La caduta di una speranza. La coscienza di un'impotenza e di una solitudine tra tanta folla e brusio.Ma anche un atteggiamento collettivo. La coscienza di un pezzo d'Italia che vive da esule la propria cittadinanza. E che con cadenze ricorrenti, ma inesorabili, misura di volta in volta la propria estraneità rispetto al proprio paese. Per Garboli, i primi sintomi di quella malattia della coscienza di luogo si manifestarono alla fine degli anni Settanta, dopo l'assassinio di Aldo Moro, quando dal sottofondo fangoso della transizione in corso emerse un'Italia incapace di vivere la propria tragedia se non nella forma festosa e vacua dello spettacolo grottesco. Insieme «tartarea», come scrisse, ed «euforica».
Per Bobbio, quella linea di non ritorno fu segnata dalle stragi di Falcone e Borsellino, che gli fecero esclamare di vergognarsi di «essere italiano». Per altri - Galante Garrone, mio padre, le generazioni della Resistenza e della Costituzione -, sarà il 1994, il «trionfo della vanità» che portò il guitto delle televisioni al vertice dello Stato. Poi Genova, luglio 2001: lo spettacolo crudele di tutte le vecchie Italie riemerse ad un unico segnale da tutti i loro peggiori passati per infierire sul corpo giovane, esposto, di una nuova generazione che si affacciava, ingenua e curiosa, all'impegno civile. Piazza Alimonda, Corso Italia, Bolzaneto, la scuola Diaz: ancora una volta, sotto gli occhi del mondo, ostentata, offerta allo sguardo nudo dei media, la prova di un'inciviltà atavica mai in realtà superata. Di un arbitrio inseparabile dal potere e dal «senso dello stato» di quelli che ne dovrebbero essere i «tutori» e i garanti.
La sentenza di oggi ne è la sanzione. Archivia, con un'alzata di spalle e un ammiccare di sguardi, l'orrore di quelle giornate. Sancisce la normalità dell'abnorme. Proclama l'irrilevanza pubblica della trasgressione estrema. Non sono negati i fatti. Né confutati i testimoni. Anzi: tutto ciò che abbiamo ascoltato, le sevizie, gli oltraggi, i corpi umiliati e colpiti, con sistematicità, per giorni, è assunto come vero. La tortura - il termine indicibile, il confine varcato -, c'è stata. Ma non trova termini giuridici per essere espressa. Nello spazio pubblico e giuridico italiano, la sua pratica non può essere riconosciuta come rilevante. Per questo chi l'ha compita, chi ha varcato quel confine, se ne può andare assolto. O con piccoli, impercettibili graffi sulla fedina penale. Continuerà a rappresentare lo «Stato». Ne interpreterà l'essenza arbitraria. Sarà il «noi» collettivo in cui dovremmo specchiarci.
Questo è l'aspetto più odioso di quella sentenza: lo scarto, osceno, che c'è tra i fatti accertati e la loro traduzione giudiziaria. Tra l'enormità della ferita e la leggerezza del giudizio. In quello iato, in quella terra di nessuno tra l'oltraggio dei corpi e il non cale della legge, sta per intero la ragione del nostro esilio civile. Il senso del nostro essere - irrevocabilmente, irreversibilmente (per citare ancora Garboli) - «senza patria».
(/Il Manifesto)
La forza dell'abitudine
Il Milan presenta Ronaldinho: è costato quindici milioni di euro. “Per quella cifra, mi aspetto l’assoluzione piena” ha dichiarato Berlusconi sovrappensiero.
(/Spinoza)
Il premier italiano è stato uno dei più controversi leader nella storia di un paese conosciuto per corruzione governativa e vizio [...]. Principalmente un uomo d'affari con massicce proprietà e grande influenza nei media internazionali, Berlusconi era considerato da molti un dilettante in politica che ha conquistato la sua importante carica solo grazie alla sua notevole influenza sui media nazionali finché non ha perso il posto nel 2006 [...] Odiato da molti ma rispettato da tutti almeno per la sua 'bella figura' e la pura forza della sua volontà Berlusconi ha trasformato il suo senso degli affari e la sua influenza in un impero personale che ha prodotto il governo italiano di più lunga durata assoluta e la sua posizione di persona più ricca del paese». La biografia di Berlusconi, cita anche il fatto che da ragazzo «guadagnava i soldi organizzando spettacoli di marionette per cui faceva pagare il biglietto di ingresso»
Siamo a Portici, estrema periferia sud di Napoli, all'interno di una palazzina in vetro e cemento dall'aria moderna e molto robusta. Tutto intorno un quartiere di stabilimenti industriali, uffici e, poco lontano, il mare. In questa zona - per la precisione proprio sotto i nostri piedi - fino alla metà degli anni Ottanta sorgeva una importante fabbrica di fertilizzanti: la Montedison, attirata dagli aiuti pubblici ed interessata a espandersi a Sud, aveva portato qui uno dei propri stabilimenti principali. Poi, però, con il sopravvenire della crisi e la dismissione della grande industria manifatturiera, la fabbrica ha chiuso e qui è rimasto solo vuoto.
(continua)