martedì 11 dicembre 2007

giornali e foglie di fico [lungo e ponderoso]

Negli ultimi anni ci è accaduto molte volte,tra scoramento e scetticismo, di discutere su cosa significhi oggi "sinistra", sulle difficoltà correnti di coloro che indegnamente rappresentano la sinistra in parlamento e più concretamente su "che fare".
e visto che tra venerdì e domenica ho trovato sui quotidiani nazionali due pezzi molto belli, sul tema, oggi li butto dentro per rinverdire l'annosa questione.

sulla stampa di domenica, barbara spinelli evidenzia quelle che sono secondo lei le "ragioni e le miserie della sinistra". partendo dal bertinotti urlante, spinelli argomenta la delusione e il senso di inutilità della sinistra al governo, stretta tra i vincoli di spesa e il vacuo "estremismo di centro" (parole di spinelli) degli ayatollah cattolici e "riformisti". i ricatti del centro, dice l'autrice, rischiano di far scoraggiare rappresentanti e cittadini della sinistra perché questi:

Hanno l’impressione sempre più intensa di servire solo come numeri per fare maggioranza, e nessun individuo né gruppo può alla lunga credere in se stesso se viene adoperato come mezzo, peggio come numero.

eppure, continua l'autrice, esiste in
italia ed in europa una Questione Sociale sempre più lacerante ed attuale: impoverimento di cittadini giovani e anziani, precarietà del lavoro, eccidi di lavoratori sull'altare dell'accellerazione produttiva, spese sanitarie sempre crescenti "urlano" l'esigenza di una sinistra forte e presente. dice spinelli a proposito del presidente della camera:
La sinistra in cui crede è data per agonizzante, ma nei paesi travagliati da mondializzazione e precariato non pare avere il futuro alle spalle: pare averlo davanti a sé. Il pessimismo sociale e esistenziale che spesso la caratterizza - sulle ingiustizie inflitte agli esclusi, sull’internazionalizzazione senza regole, sul clima (l’Italia è il quinto inquinatore mondiale, prima di Russia e Usa) - ha una nuova plausibilità.

spinelli continuerà poi sostenendo che la sx italiana fa male a non riconoscere, accanto ai problemi, anche i propri meriti (stare misurandosi con il governo, arginare quotidianamente derive centriste ancor peggiori) e argomentando la necessità di guardare "lo spazio grande e l'orizzonte lungo" accanto alle necessità propagandistiche del qui e ora.
e qui viene in campo il secondo, bellissimo per me, articolo: "Quotidiano comunista? Una nobile foglia di fico" di marco d'eramo (Il Manifesto, 7 dic 2007, link a rischio scomparsa, .doc disponibile).
il punto di attacco di d'eramo è l'annosa discussione, tutta interna al dibattito manifestino, sull'opportunità di togliere dalla testata la dicitura "quotidiano comunista". ma nell'attacco di d'eramo c'è tutta la sostanza della critica, e dell'urgenza che in tanti risentiamo:
il problema serio, per cui io personalmente sarei favorevole a abolire la dicitura, è un problema di onestà intellettuale. Mantenerla vuol dire rimuovere il punto centrale delle nostre difficoltà e debolezze. Il punto è che nessuno di noi sa dire più con esattezza in che cosa consista il comunismo. A ragione denunciamo i misfatti del capitalismo, gli orrori generati dal fondamentalismo liberista di mercato, gli eccidi dell'«imperialismo umanitario». Ma alzi la mano chi sa rispondere alla domanda «Insomma che società volete?» se non in termini negativi [...]. Noi sappiamo dire «una società che non», ma non sappiamo più dire «una società che sì»

Da Montale a D'Eramo e ritorno.
L'urgenza di D'Eramo è anche la mia. Mi viene da piangere, ormai, quando vedo il caruso di turno che urla "un altro xyz è possibile", e si ferma lì. E mi viene da piangere quando, nella mia pratica quotidiana, l'esigenza individuale di sgomitare per guadagnarmi uno spicchio di posto al sole mi fa perdere di vista il "noi", e il fatto che c'è pieno di altri sfigati come me.
d'eramo dice bene il "disagio politico e intellettuale" che in tanti, anche qui dentro, risentiamo. e ne mostra le pericolose ricadute a livello di politiche:
attenzione, dice, perché alla luce del disagio le ricette che l'attuale sinistra propone sono stra- moderate, e tipicamente solo resistenziali.

da dove viene questo disagio? secondo il nostro il disagio è figlio dell'impiego di un
"doppio standard": riconosciamo la sconfitta di quel che la sx è stata, ma riteniamo di poter continuare ad impiegare, intatte e irriformate, le categorie forgiate centocinquant'anni fa.
e allora, come uscire dal disagio? quoto ancora D'Eramo:
Rimuovere queste difficoltà, non prenderle di petto, questo sì che è tradire la nostra storia, essere infedeli alle nostre idee[...]. Oggi abbiamo bisogno dello stesso coraggio, della stessa spregiudicatezza di allora. Senza questa nuova rottura, saremo come quei popoli la cui religiosità è solo una facciata, consentita da una generale ipocrisia. [...]
la testatina costituisce solo un ulteriore, piccolo elemento dei tanti che ci rendono scostanti e che respingono da noi un pubblico più largo. Un serbatoio di lettori - assai più vasto di quel che si creda - che vogliono «conquistare l'uguaglianza e la libertà di donne e di uomini», ma vogliono avviarsi su questa via senza caricarsi dell'insostenibile fardello di una storia controversa che non sentono più loro.

rompere le nostre vecchie categorie, per riappropriarcene e usarle sulla nostra vita quotidiana e sul mutato ambiente che ci sta intorno. non attaccarci alle etichette. studiare.
vado a baciare in bocca d'eramo e mi metto al lavoro

6 commenti:

cristina duranti ha detto...

bravo giò che hai messo i piedi nel piatto della questione più spinosa. io non ho alcuna risposta, ma per ragionare meglio credo che convenga partire dai fondamentali, dalle parole chiave. d'eramo ne cita due, storiche: eguaglianza e libertà.
partirei dalla prima. cosa significa voler conquistare l'eguaglianza per noi, oggi? è un concetto, o una pratica, che ci appartiene davvero? è ancora necessaria? già se penso a tutta l'immensa questione femminista mi sembra che questo principio si sia sgretolato come neve al sole e in molte oggi, fieramente, rivendicano la differenza e non l'eguaglianza, come un diritto. per desiderare e conquistare l'eguaglianza poi dovremmo capire quale sia la "norma" rispetto alla quale muovere le asticelle che stanno sopra e sotto. e questo già mi sembra un bel problema. chi stabilisce a cosa vogliamo essere uguali o di chi vogliamo avere le stesse condizioni di partenza (tanto per essere più sofisticati)? insomma come avrai capito, sull'eguaglianza sono perplessa. della trinità rivoluzionaria, questa mi sembra la componente più difficile da rivedere e aggiornare. anzi, io la vorrei proprio ribaltare. a me piacerebbe che tutti fossimo liberi di conquistare la nostra differenza, salvo poi condividerla e mescolarla con gli altri.già sento frusciare l'obiezione della scarsità...e se non ce n'è per tutti? se conquistare la mia differenza sottrae a te la possibilità di coltivare la tua? allora c'è bisogno di regole del gioco, quelle sì uguali per tutti.

cristina duranti ha detto...

scusate, ho postato ben due volte con il nome di mio padre...troppo lungo spiegarvi perchè...effetti collaterali delle feste natalizie.

gio' ha detto...

>ho postato per ben due volte con il nome di mio padre...

ma infatti io ero già lì gasato, a pensare che casa genovesi avesse trovato nuovi ospiti...poi ci ho pensato un attimo...ho riconosciuto uno stile familiare....ed eccoci qua!
adesso mi riservo di rileggere- tuo babbo e te- con tranquillità, e ci rivediamo tra poco!

gio' ha detto...

cristina ha scritto:
>cosa significa voler conquistare >l'eguaglianza per noi, oggi? è un >concetto, o una pratica, che ci >appartiene davvero? è ancora >necessaria?

secondo me signora uguaglianza ci è più necessaria che mai. e, pur trovando importanti i nodi che illumini (individuazione della norma, valorizzazione delle differenze, costruzione di regole condivise) questo giro non sono certo di essere d'accordo con quel che scrivi. o perlomeno, le stesse cose le direi in modo un pò più crudo.

lo zoccolo duro di eguaglianza, che urla sempre e più forte di sempre, ha a che vedere con la *garanzia di condizioni materiali di vita degne* e di *punti di partenza uguali (o almeno simili)* appannaggio di tutti. rispetto a queste, la norma non sarà certo condivisa da tutti, ma senz'altro possiamo (tutti) individuare delle soglie minime di dignità sotto le quali non si può scendere.

eguaglianza continua a partire da cose semplici, come la centralità e dignità del lavoro (casualmente, rimosso nei pantheon buonisti del PD) e a questo punto anche dalla centralità e dignità del non- lavoro, visto che anche al non lavoro ci dovremo abituare.
se l'osservazione delle cose che ci stanno intorno mostra:
- impoverimento di anziani e impiegati
- semi- schiavitù migranti e figli di migranti
- invisibilità neo e non lavoratori
- carneficina di operai (operai) alle prese con le quarte ore di straordinario, magari in nero;
ebbene, eguaglianza non può partire da nessun'altra parte. i figli dei nuovi cittadini sono in condizione di andare a scuola? gli anziani con un marito malato possono pagargli le cure? gli operai possono fare a meno di lavorare 15 ore e arrivare a fine mese? i venticinquenni riescono ad esistere nel sistema clientelare del lavoro?

tu dici "libertà di conquistare le proprie differenze", e credo tu voglia esprimere lo stesso concetto. solo che "libertà di" mi sembra scivoloso, e mi sembra che rischi di nascondere i corpi, ed il sangue, che alla libertà stanno dietro.
mi compro in pieno, invece, il pensare a regole nuove e condivise.

cristina duranti ha detto...

continuo ad avere forti dubbi che le cose, giuste, di cui parli tu abbiano davvero a che vedere con il concetto "storico" di eguaglianza. seconde me (non si urtino i filosofi) bisogna distinguere bene tra un eguaglianza "attiva" e una "passiva". quella passiva, che secondo me è sacrosanta, consiste nel non discriminare nessuno nell'accesso ai beni, alle risorse, ai diritti, mentre quella attiva vuole garantire a tutti uguali beni, risorse, etc etc senza entrare nel merito delle diverse condizioni di partenza, capacità, impegno etc
ovviamente il discorso degli standard minimi non è in discussione, è l'egualitarismo ideologico che non mi convince. quello per cui il principio della valutazione, e quindi del merito, dell'assunzione di respondabilità nel giudicare e nel distinguere, fa tanta paura e crea tanto disturbo. sarebbe a dire che il diritto a una buona istruzione deve essere garantito a tutti, ma non a tutti deve essere data la sufficienza politica (no, non è finita col 68, c'è ancora, soprattutto in tanti posti di lavoro). a tutti devono essere date opportunità di lavorare, ma lo scatto di anzianità automatico senza alcuna valutazione della qualità del lavoro che si è svolto mi sembra impresentabile.più che rivendicare l'uaguaglianza, io rivendicherei, anche se è un termine orribile, pari opportunità per tutti, ma poi vorrei che ciascuno sapesse che una volta "partito" in condizioni quanto più possibile uguali agli altri, sarà valutato e premiato o punito (semplifico) per quello che è e per quello che fa, non solo perchè è un numero di tessera di un sindacato, di un partito, di un audience televisivo, di un registro scolastico.

gio' ha detto...

compro tutto il ragionamento, comprese le distinzioni sulla diade attivo/ passivo.
e non so se quella fi cui parlo sia la concezione "storica" di eguaglianza.
resta però fermo, per me, un punto. il punto è che il discorso che fai sulla necessità di abbandonare "la logica del sei politico" di cui parli, e che mi trova del tutto d'accordo, guarda solo un ramo- e probabilmente non il più odioso e urgente- della situazione del nostro paese oggi.
mi spiego (semplificando). la possibilità di essere valutato, di essere valutato in modo trasparente, di avere gli scatti di carriera in modo meritocratico e non clientelare, preme a tutti, ma soprattutto a quelli come me e te che sperano di essere (o già sono) nell'1/3 di popolazione più privilegiato.
chi da quell'1/3 (e anche dal secondo terzo) è escluso, probabilmente, per partire si accontenterebbe di veder rispettati gli "standard minimi". che vuol dire possibilità di esistere e lavorare per i nuovi cittadini, possibilità di curare con dignità un congiunto per gli anziani soli, possibilità di non fare turni di 15 ore in fonderia per non veder sfumare il contratto interinale, possibilità di mandare i figli a scuola con dignità.
detto sinteticamente, temo che noi ci interroghiamo sul babbà mentre sulla tavola cominciano a mancare pane, acqua e pure la pastasciutta.