venerdì 22 febbraio 2008

tutti in pulmann o tutti a casa?

quando leggo i pomposi annunci dei nostri candidati premier (uolter: "dodici ddl già pronti"; silvio: " La politica dovrebbe essere la missione piu' nobile, il piu' alto atto di carita' che si dovrebbe fare verso gli altri" etc etc) mi capita sempre più spesso di sentirmi straniato e incredulo.
voglio dire....non c'è niente di sbagliato nel mostrare i muscoli del proprio decisionismo o nel provare a somigliare a madre teresa di calcutta, ma proprio non mi riesce individuare il punto di contatto tra il mio quotidiano di trentenne (sfiduciato-scontrattato) e il quotidiano (pomposo e un pò astratto) adombrato dalla nostra classe dirigente.

cioé....molti di noi non sono più quella roba lì...sono il contratto che non c'è, i sindacati che sono da un'altra parte, le piccole- enormi ingiustizie del quotidiano lavorativo, la mancanza di una prospettiva collettiva che vada al di là della festicciola con gli amici....
quando li sento parlare sento un pò lo stesso straniamento che ho sentito vedendo caos calmo e cento altri filmetti italiani: macchine ed abiti eleganti, angoli di roma upper class, dolori intimi che sono (così sembra) l'unica dimensione del dolore. voglio dire: noi non siamo più quell'italia lì...e quando vedo tutto questo ho come l'impressione che la mia (nostra) realtà stia andando da un'altra parte, mentre chi decide (e financo chi dipinge il nostro immaginario) continua a raccontarci la stessa italia e la stessa storia.

per questo, a rischio di sembrare economicista, mi piacerebbe che tra una gita in pulmann ed un accordo con il "movimento per l'autonomia" di rotondi i nostri candidati si occupassero anche di problemi di prospettiva- borsellino piccoli piccoli. cose banali come la direzione di sviluppo economico da far imboccare al paese nei prossimi vent'anni, ed i corsi di studio nei quali far impegnare i miei figli. problemi poco sexy ma molto concreti, come quelli adombrati da questo editoriale di mario deaglio. dal quale cito a caso:
Alle forze politiche che stanno mettendo a punto i programmi elettorali occorre chiedere di spiegare non tanto, o non solo, quanto i singoli lavoratori italiani potranno trovare in busta paga l'anno prossimo, ma quante buste paga ci potranno essere di qui a quindici-vent'anni. Non si tratta di dare qualche piccolo beneficio ai ricercatori universitari ma di fornire le risorse perché, tra qualche decennio, le università italiane siano ancora presenti nel panorama mondiale della ricerca. Non si tratta di «vendere» agli elettori i piccoli provvedimenti che favoriscono questa regione o quella categoria, ma di fare loro una proposta su come cambiare l'Italia in tempi medi e medio-lunghi. Non bisogna, come purtroppo molti leader politici hanno oggi tentazione di fare, essere miopi e rassicuranti; proprio come con i malati gravi, è bene dire agli italiani le cose come stanno, in modo che possano fare scelte responsabili, senza aspettare che a parlare sia il commissario Almunia.

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