giovedì 25 settembre 2008

i tagli all'editoria e le letterine di uolter

Certo, i nostri compatrioti rapiti in Egitto sono più importanti. E sono d'accordo, la copertura del recente terzultimatum sul caso Alitalia è fondamentale. Così come lo è il gol dell'inter a dieci minuti dalla fine.
Ma forse, un pò di spazio sui nostri giornaletti se la meriterebbe anche la modifica nei metodi di attribuzione dei fondi alle cooperative editoriali, previsto in un Decreto Legislativo approvato in tutta fretta in estate.
Il Decreto, spiega un documentato dossier di Radio Radicale:
[...] prevede un consistente taglio dei contributi diretti all’editoria (357 milioni di euro in 3 anni). Contestualmente abolisce il “diritto soggettivo” delle testate che beneficiano dei fondi (anzitutto giornali di partito, testate edite da cooperative e media no profit) a ricevere i contributi previsti. I fondi verranno elargiti in base alla disponibilità di risorse complessive, e suddivisi tra tutti i beneficiari. Molte testate, tra cui Il Manifesto, Liberazione, Avvenire, i fogli diocesani, hanno dichiarato il rischio chiusura o forte ridimensionamento.

Insomma, d'ora in avanti saranno i Gasparri e i Calderoli del caso a decidere a chi dare la mancetta (mentre continueranno, of course, i contributi per spese postali a Corriere, Repubblica, Sole etc).
Ma una domandina. Forse che non sono posti di lavoro, quelli che si perderebbero con la chiusura delle cooperative editoriali? E più ancora, forse che i giornali cooperativi non servono a mantenere vivo un barlume di ecologia informativa in un paese ammorbato?
Ma forse è un allarme ingiustificato. Che forse bastano Youdem e le letterine di Veltroni, a mandare avanti il dibattito pubblico nel nostro paese...

2 commenti:

Skanner ha detto...

ovviamente non sono d'accordo col criterio discrezionale di assegnazione dei fondi. questo non vuol dire che sia d'accordo con quello che succedeva in precedenza. sono infatti dell'idea che vadano eliminati tutti i contributi ai giornali. al di là dello spreco di denaro pubblico, il finanziamento è il principale responsabile della cattiva qualità della stampa italiana: ricevendo dallo Stato milioni di euro solo per il fatto di esistere non sentono il problema di farsi concorrenza. NOn sono quindi soggetti al giudizio dei lettori. Anche se non vendessero più una copia camperebbero lo stesso. E allora preferiscono diventare la grancassa dei politici (gli unici che leggono davvero i giornali perchè grazie a loro si mandano messaggi cifrati) infischiandosene del gradimento dei lettori. Non proprio quello che si potrebbe definire il Quarto potere. può una democrazia permettersi di avere una stampa così drogata? E' possibile che in Italia non ci sia nemmeno un editore puro? Perchè il New Yorker che ha pochissima pubblicità e costa parecchio continua a campare? Forse perchè predilige fare un'informazione di qualità e stare sul mercato? Non sono un iperliberista ma sono convinto che questo sistema abbia semplicemente infoltito l'ordine dei giornalisti senza dare niente in cambio a chi si aspetta di capire quello che succede in Italia. Perchè le notizie le devo leggere su Dagospia? Perchè non si fanno un bel bollettino con i comunicati stampa dei vari deputati? perchè devo pagare i giornali come contribuente, come consumatore di pubblicità e come lettore per leggere messaggi massonici? mi dispiace per il manifesto che in una vita non è riuscito a staccarsi dai suoi diecimila lettori: vuol dire che in futuro lo leggeremo su internet. anche il new york times ha le stesse paure. è un problema strutturale. comincerei a pensare a soluzioni diverse. alitalia docet.

giovanni arata ha detto...

capisco e in parte condivido il tuo argomento.

ho una obiezione, però. in tutti i paesi civili, US compresi, lo Stato si fa carico degli investimenti e delle spese che servono a mantenere "infrastrutturalmente" in salute i beni pubblici: scuole, ospedali, strade fisiche, strade digitali etc. non avremmo internet se i militari americani- e poi Clinton/Gore- non avessero investito sull'infrastruttura che ad essa presiede.

per questo, lasciando da parte le implicazioni generali di questo ragionamento rispetto alla diatriba pubblico/ privato (ha senso allargare lo spazio dei privati nelle scuole, negli ospedali, nelle strade etc?) limito il ragionamento al mondo dell'informazione. all'ecologia dell'informazione.

l'ecologia dell'informazione è un bene pubblico anch'essa: la respiriamo, abitiamo, navighiamo tutti tutti i giorni.
allora l'obiezione/ domanda è: possiamo lasciarla interamente al mercato, in un paese dove esiste un mercato di lettori striminzitissimo ed una concentrazione di raccolta pubblicitaria terribile.
secondo me, no.

e se non ce la possiamo lasciare, il punto diventa come la possiamo nutrire in modo sano. perché sono del tutto d'accordo con te che i meccanismi attuali servono a foraggiare giornali e ordinati di dubbissima qualità.
ma, ribadisco il punto, non sarà azzerando la presenza pubblica che risolveremo il problema. (provare a) ripensare i meccanismi di allocazione dei fondi è utile. eliminare i fondi è un errore.