Lotta alla clandestinità, piano monnezza, rilancio del nucleare, taglio dell’ici, intervento sui mutui variabili, ponte sullo Stretto. Come promesso in campagna elettorale, il Berlusconi IV è partito lancia in resta. La violenza e la velocità con cui sono arrivati decreti e proclami sono impressionanti, non c’è che dire. Questo governo sembra uno schiacciasassi: decisionismo allo stato puro e idee chiare, senza il minimo mugugno all’interno della coalizione. Gli italiani sono rimasti colpiti (manganellate a parte): sarà il solito bluff o l’inizio di qualcosa di nuovo? Chi lo ha votato gongola, chi non lo ha votato è sbigottito per motivi diversi: i progressisti, un filo invidiosi, si chiedono se la sinistra sia condannata per sempre all’immobilismo (e alla sconfitta); la sinistra alternativa denuncia a gran voce il realizzarsi del più temibile programma di destra che ci ricorderemo. Il pensiero comune è: possibile che riesca davvero a fare tutto quello che ha detto? E ancora: che fine ha fatto il dialogo sociale? Si può davvero militarizzare la politica? Come dice oggi Giuseppe D’Avanzo su Repubblica tutte le moderne democrazie stanno creando volutamente un continuo stato di emergenza, che porta allo svuotamento della partecipazione popolare e alla verticalizzazione della politica. Napoli è il caso emblematico: poco prima delle elezioni in piena crisi-monnezza è emerso con chiarezza che le cause di quel disastro colpivano tutti i livelli del sistema, a partire dal cittadino che non faceva la raccolta differenziata sino a risalire tutta la catena politico-amministrativa, rivelatasi un letale mix di malaffare e incapacità. Il risultato? Nessuno si fida più di nessuno e guai a chi tocca il mio giardino. Il governo Prodi, strangolato dalle tensioni centrifughe, non ha saputo mettere alcuna pezza nella voragine e il commissario De Gennaro, pur essendo persona abile, non è riuscito a evitare la trappola del rilancio infinito orchestrato da camorra e comitati locali. Ma ecco arrivare l’uomo forte che dichiara sotto elezioni che il suo governo partirà da Napoli, che dormirà a casa di Emilio Fede pur di risolvere il problema (che coraggio!). Ai microfoni del Tg, i napoletani chiedono a Zio Silvio di fare il miracolo, proprio come fanno con San Gennaro, come se i rifiuti fossero la peste e non un problema da risolvere a tavolino. Come se si potessero sgomberare le strade di Napoli facendo scomparire i rifiuti nel nulla. Eppure un miracolo Silvio lo ha fatto. Brandendo i sondaggi come un bastone e agitando la carotina in faccia ai media, ha fatto in modo che all'impovviso tutti gli italiani cominciassero davvero di vivere in stato di emergenza: i clandestini, la criminalità, l’energia, i mutui, la globalizzazione. Non importa se i Rumeni sono comunitari e non si possono cacciare; se l’indulto lo hanno votato insieme; se 15 anni di gestione sconsiderata dei rifiuti (da entrambe gli schieramenti) non si possono considerare un’emergenza; se nessun dazio sia in grado di ostacolare la globalizzazione, se ci vogliono almeno 15 anni per avere energia nucleare. L’importante, quando si è in emergenza, è dare un segnale evidente che si sta facendo qualcosa, anche se poi non importa a nessuno che cosa. E così, asserragliato dentro il Palazzo Reale di Napoli, elmetto in testa, circondato dai suoi fedelissimi, Silvio IV si mostra ai sudditi pronto a combattere. E’ in mezzo a loro, operaio, imprenditore, operatore ecologico. Forse si farà fotografare a petto nudo sul trattore. E gli italiani, come spesso è accaduto, accade e accadrà, sono un po’ compiaciuti per questo decisionismo. E se non vogliono le discariche qualche carica della polizia non farà male. Come forse si sarebbe dovuto fare con i tassisti quando bloccavano le strade.
Dopo due anni di no a tutto (che hanno portato Pecoraro a chiedere protezione al Wwf) vuoi vedere che gli italiani si faranno ammaliare nuovamente da chi sa prendere le decisioni? Il Partito Democratico (per non parlare di quello che rimane della Sinistra Arcobaleno) sembra atterrito da questa ondata. Ci vorrà molto prima che a Sinistra si raggiunga la consapevolezza che le elezioni non si vincono copiando i programmi di destra, perché gli elettori alla copia preferiscono l’originale. Se si ha una vaga idea di come si possa costruire un paese moderno in grado di coniugare opportunità e tutela dei più deboli bisogna cominciare a discuterne, magari per cinque anni interi. Ma quando arriverà il momento, dalle parole si dovrà passare ai fatti. Zapatero insegna. Forse anche gli elettori italiani di sinistra cominciano a chiedere qualcosa di simile. E da quel momento, poi, non si torna indietro.