martedì 18 settembre 2007

ancora lavavetri....ma meno sexy

La settimana scorsa anche qui dentro casa genovesi abbiamo discusso sui c.d. “lavavetri”.
Adesso, riprendo il discorso perché in mezzo al bailamme mediatico- politico su quel tema sono saltati fuori altri spunti che, anche se meno sexy delle punizioni per i lavavetri (Repubblica non ci farebbe un dossier, per capirci) sono almeno altrettanto importanti. Il tema qui è quello della c.d. “sussidiarietà orizzontale” o, per dirlo in termini potabili, del ruolo dei privati nella gestione del welfare del nostro paese.

I fatti. Tra i tanti che hanno preso parola sul tema dei “lavavetri”, qui a Bologna vi è stata anche Legacoop, la potentissima lega delle cooperative. Con modo pragmatico, la Lega ha proposto al Comune di regolarizzare la posizione delle persone che oggi lavorano ai semafori, reimpiegandole in attività come la pulizia dei muri cittadini- imbrattate da pericolosi graffitari- o delle piazze- riempite di birre da pericolosi studenti. Il sindaco Cofferati, per sua parte, ha risposto alla proposta di Legacoop ribattendo stizzito: “se avete soldi a sufficienza, fatelo voi”. E per il momento la discussione si è chiusa qui.

L’interesse dei fatti. A me, al di là del merito della proposta, la storia sembra significativa perché racconta bene dello stato delle relazioni tra decisori pubblici e portatori di interesse privati. Abbiamo, da una parte, un grande attore privato che fa delle proposte rispetto al disegno di una politica pubblica. Ed abbiamo dall’altra un decisore pubblico che, non riuscendo a formulare una proposta propria, si limita a replicare inacidito: “se siete così bravi, cacciate i soldi e fate voi”.
Ora, anch’io sono cresciuto in un paese in cui la Chiesa e le sue agenzie, da sempre, suppliscono ai “deficit di politica pubblica”. Ed anch’io ho studiato a Siena, dove il Monte dei Paschi amministrava la città almeno altrettanto del sindaco. E, ancora, mi rendo conto anch’io che lo Stato “non ce la fa più” a svolgere tutti i suoi compiti tradizionali, e che sono ormai molti i paesi occidentali in cui i privati compartecipano di oneri ed onori delle politiche pubbliche (università, sanità etc). Dico tutto questo per dire che non sono un pericoloso dirigista, e che riconosco una validità al nuovo Art. 118 della Costituzione, alla c.d. “sussidiarietà orizzontale” e anche all’attivismo dei privati nella sfera pubblica siano di per sé male.
E tuttavia, ascoltando Cofferati e Legacoop che parlano di come reimpiegare i “lavavetri”, mi restano almeno un paio di dubbi:

1. Come quelle riguardanti le infrastrutture, l’educazione, la sanità, le pensioni, anche le “politiche per la nuova cittadinanza” mi sembrano *strategiche* per il futuro del paese. E allora, è possibile che i nostri decisori non siano in grado di formulare in proprio idee e soluzioni su queste questioni, e magari indirizzarne (se non gestirne completamente) la realizzazione?
2. Le “Legacoop”, le “Compagnia delle Opere”, le “cittadinanza attive” e le mille banche del territorio sono sempre più inserite nella gestione attiva del welfare del nostro paese. Questo è un fatto, ed anzi dobbiamo loro un grazie per il contributo che danno. Detto questo, sarebbe bello che fossero (un pò) più trasparenti e dibattuti i modi con cui continuiamo ad appaltare loro pezzi delle aree di intervento pubblico. Perché a volte, quando li sento entrare con modi silenziosi e discreti all’interno delle “stanze” del welfare, questi signori mi ricordano- più che la balia premurosa che mi rimbocca le coperte- il borseggiatore che mi sfila il portafogli. Altro che lavavetri.

3 commenti:

cristina duranti ha detto...

Bravo gio che apri il dibbattito su questi temi. forse avrai meno successo dell'ormai mitico martello di luca, ma il tentativo è doveroso. Il problema non solo non è sexy ma è pure un pò noioso, eppure ci riguarda molto da vicino. Qualcuno di noi magari in una di queste tante realtà del "privato sociale" ci lavora in condizioni che dire poco trasparenti è un eufemismo..
condivido le tue osservazioni e faccio presente due cose:
1. il welfare che si restringe non è un effetto perverso della centrifuga europea. molti a destra e a sinistra cercano il capro espiatorio a bruxelles, ma la responsabilità è di una gestione molto allegra delle risorse pubbliche a cui hanno partecipato in molti fino a quando è arrivata la scure di maastricht. Non che prima non sapessimo che i soldi pubblici si dovevano usare con efficienza ed efficacia, ma se ce lo dice qualcuno di fuori, possibilmente con accento anglo o sassone, magari minacciando di non concedere più soldini europei, ci pare più vero. Nonostante anni di finanziarie da incubi il nostro è ancora una bel debito, diciamo un capo che si porta bene in qualsiasi stagione. I paesi in cui c'è (o almeno c'era) un welfare degno di questo nome hanno tutti debiti che non superano i 3/4 del nostro (ad essere generosi). Da noi per quanto ci si giri intorno questo debito cala con il contagocce. Questo è il primo grosso problema che difficilmente possiamo eludere, sia che pensiamo ad un welfare gestito dal pubblico sia che pensiamo al welfare mix. Non è un caso che la risposta piccata sia venuta da un sindaco. Qualcuno ha notato che i tagli delle ultime finanziarie sono sempre a carico dei Comuni? e le campagne elettorali sul taglio o l'abolizione dell'ICI? ma dove pensiamo che possa prenderli Cofferati i soldi per sussidiare i lavavetri se gli tolgono pure l'ICI?
2. Sul ruolo del "privato sociale" nel welfare mix all'italiana sono stati scritti fiumi di inchiostro, soprattutto nella tua Bologna. da poco è stata approvata una legge sull'"impresa sociale" e vedremo se questa fattispecie tutta italiana riuscirà davvero a quadrare il cerchio tra scopi sociali e gestione imprenditoriale (come molti del nostro terzo settore credono). Nel frattempo ricordiamoci alcune cose poco note, da ormai 7 anni è stata costituita l'"antitrust delle onlus" ma finora non ha dato grandi segni di vivacità nel far rispettare le regole di trasparenza, accountability etc etc che dovrebbero rendere il terzo settore un pochino più "responsabile" verso i cittadini che in via diretta o indiretta (con generose detrazioni fiscali) li finanziano. In ultimo vorrei ricordare che legacoop è uscita da non più di un anno da una bufera, quella delle scalate bancarie rosse, che avrebbe spazzato via parecchie altre realtà la cui esistenza si base in buona parte sulla reputazione e la fiducia. Eppure è ancora lì, c'è un toscano a guidarla e nessuno si sogna di metterne in discussione i meccanismi di governance.
La conclusione un pò amara che mi viene di fare è che, purtroppo,nel nostro paese il "privato sociale" che gestisce un bel pezzo di welfare, non risponde del proprio operato ai cittadini secondo meccanismi "trasparenti" (mi viene da dire anglosassoni), cioè giocandosi "in piazza" la propria reputazione, che dovrebbe essere il suo capitale principale. La responsabilità questi soggetti la percepiscono principalmente nei confronti della loro parte politica di riferimento (nella quale inserisco anche sindacati e Chiesa). In un sistema in cui la rappresentanza politica funzionasse bene questo si potrebbe considerare un meccanismo farraginoso, ma tutto sommato sensato (in Germania ha funzionato a lungo così). Data lo stato in cui versano i partiti e gli altri "corpi intemedi" che svolgono in vari modi la rappresentanza politica nel nostro paese, mi sembra che un cambiamento radicale di questo meccanismo sia necessario.

Nico ha detto...

Questo post in realtà è in risposta a quello vecchio di Mauro, ma lo butto qua per rinverdire la discussione. Sicurezza, sinistra, razzismo e altre amenità: bene, ho provato persino a fare finta che questa ordinanza non sia un’idiozia razzista e a indagarne i possibili presupposti. Un’osservazione, peraltro non illecita, potrebbe essere che la decisione di Cioni va a difendere la tolleranza, e non a minarla. Se il presupposto su cui si basa la tolleranza è fare quello che si vuole in piena libertà purché non si scalfisca la libertà altrui, infatti, questa è un’ordinanza giusta. I lavavetri ledono la libertà dell’automobilista fermo al semaforo (sia pure la libertà di scaccolarsi), e lo infastidiscono anche se è di sinistra e sta pagando le rate di quell'utilitaria da dieci anni. Esistono lesioni della libertà un tantino più gravi, è vero, ma in questa ottica l’ordinanza potrebbe avere una sua ragionevolezza. Se questa fosse la logica, però, allora andrebbe applicata a chiunque provochi disturbo alla quiete privata: i testimoni di Geova, quelli che ti fermano per strada per chiederti la firma contro l’Aids o quelli che ti telefonano a casa per venderti il vino. Una cosa del genere sarebbe impensabile e darebbe l’idea di vivere in uno stato militare anche agli stessi che adesso approvano l’eliminazione dei lavavetri: e allora, perché l’idiota della firma contro l’Aids può rompermi le palle liberamente e il lavavetri no? È qui che emerge nella sua fulgida chiarezza l’indole razzista di questa ordinanza, la quale trova ragion d’essere nel fatto che il lavavetri viene percepito come pericoloso (o quantomeno indecoroso e pure un po’ sgradevole all’olfatto), mentre il testimone di Geova no. Perché? La questione, come dite giustamente, va a inserirsi nella paura quotidiana verso l’”altro” determinata dalla mancanza di politiche di integrazione o dal deficit delle istituzioni (scuola, chiesa etc.). Secondo me, invece, il problema è molto più banale. È prima di tutto (per quanto non solo) un problema di informazione. Gli immigrati sono le guest star della cronaca nera. Se volessimo scomodarci a leggere le statistiche, però, sapremmo che la percentuale delle sprangate in testa rifilate dagli immigrati è esattamente uguale a quella degli italiani. I media sono molto zelanti nel comunicarci che l’albanese ha accoltellato la vecchietta rea solo dell’avere ritirato la propria modesta pensione, ma tacciono di quanti lavorano onestamente contribuendo a “far girare l’economia”, o svolgendo lavori socialmente utili che gli italiani non farebbero manco morti (vedi i badanti degli anziani, problema cui nessuno pensa). O tacciono di quanti italiani commettono ogni giorno gli stessi identici crimini. Avverto con fastidio anche l’altro grande filone di notizie sugli immigrati: il filone dell”immigrato eroico”. Sono da ricondursi a questa categoria tutte le news incentrate sull’albanese che si butta in mare per salvare il bimbo che annega eccetera. Nell’ottica del newsmaking (Mauro e Davide correggetemi), per cui fa notizia l’uomo che morde il cane e non il cane che morde l’uomo, ovvero fa notizia l’eccezione, il tg ci sta sottilmente dicendo che un albanese che fa il suo dovere di cittadino anziché rubare come fanno tutti gli altri fa notizia esattamente quanto l’ottantenne che partorisce o la donna coi baffi più lunghi del mondo. Un’eccezione che conferma straordinariamente la regola, e la regola è che l’immigrato è pericoloso. Questo è razzismo ed è razzismo gratuito, credo. L’ordinanza sui lavavetri è la conseguenza di questo modo di pensare, che andrebbe sradicato alle basi ancor prima di trovare una soluzione politica al problema. Il primo passo sarebbe cercare di cambiare una forma mentis che arreca danno prima di tutto a noi stessi, costretti a vivere nello stupido terrore dell’immigrato ed esasperando, con questo atteggiamento, la sua aggressività (dicasi “profezia che si autoadempie”: la buffa psiche umana fa sì che se l’immigrato si accorge che lo temo, reagirà dandomi buoni motivi per temerlo). Il primo passo sarebbe produrre, ed esigere, un’informazione più corretta, più imparziale, più impegnata a estirpare (e non a rafforzare) gli stereotipi. Fatto questo, forse non si porrebbe neppure il problema del re-impiegare i lavavetri in lavori socialmente utili, perché verrebbero immediatamente arruolati dai testimoni di Geova (e gli automobilisti fiorentini sarebbero i primi a supplicarli di tornare ai semafori).

gio' ha detto...

affascinanti entrambi gli interventi.
io, a scanso di andare appena offtopic rispetto al post, mi permetto una considerazione sul tema della reputazione e trasparenza, introdotto da cristina.

d'accordo- senza dubbio- sul fatto che i meccanismi con i quali gli "attori del privato sociale" si legittimano non siano trasparenti. meno d'accordo sul fatto che tali attori "si legittimino solo di fronte al referente politico". legacoop (per prendere un esempio che conosco) gode della fiducia della sua comunità di riferimento (gli emiliani). e gode di tale fiducia non perché sia trasparente, ma perché (come la chiesa o le banche in altre realtà) la comunità locale sa che legacoop c'è (leggi: paga) quando c'è bisogno.

se riesco a capire, quindi, il tuo ragionamento non "riconosce" la validità/ presenza di tale rapporto fiduciario perché, correttamente, lega la fiducia alla presenza di trasparenza. e non alla presenza di do ut des.

ma forse, visto che questi aspetti "indicibili" sono ineliminabili da noi, dovremmo riconoscere che i modelli anglosassoni non sono pienamente "replicabili" nel nostro paese....